Paura e desiderio ai tempi del Coronavirus

coronavirus 600di Gianfranco Cordì* -La nostra società non era abituata a una simile emergenza. E allora c'è da chiedersi: a cosa era abituata la nostra società? Al consumismo: si consumavano beni (di consumo) giusto per dimenticare per un attimo la propria paura («liquida», avrebbe detto Bauman). Ma il consumo non basta. Noi non siamo «L'uomo a una dimensione» di cui parlava Marcuse (quello schiacciato solo sul dato economico): noi siamo fatti di paure e desideri. Noi siamo anche fatti di ragione e sentimento. Ma a prevalere, come ci ha insegnato Marx, è il desiderio. Del resto anche lo stesso Deleuze parlava di «Macchine desideranti». Marx diceva che nel comunismo a ciascuno sarebbe stato dato secondo delle sue capacità, e da ciascuno si sarebbe preso secondo i suoi bisogni. Dunque nel periodo pre-Coronavirus ha prevalso la paura - l'11 settembre 2001 è il simbolo di questa paura globale. E si cercava di «sublimare» (come avrebbe detto Freud) questa paura questa paura con una folle corsa agli acquisti.

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Ma a Coronavirus «conclamato» (come l'AIDS) non prevale più la semplice paura: la paura si fa «levigata» (sono sempre parole di Marcuse) e subentra uno stato nel quale possono tornare a parlare i desideri. Desiderio di stare con la propria madre; desiderio di guardare un tramonto; desiderio di grattarsi lo stomaco senza dover per forza pensare che si sta perdendo del tempo. Questo ritorno dei desideri è un fatto positivo: con esso si apre la strada a una seconda fase della globalizzazione – che inizia nel 1989 con la caduta del Muro di Berlino) – e questa seconda fase è quella del sociale e dell'umano. Quando tutto questo momento terribile che stiamo vivendo sarà finito ci sarà (si aprirà) un nuovo spazio per l'umano, per la socievolezza, per la voglia di stare insieme. Tornerà l'agorà greca....

*Filosofo